Formaggio

Nel libro IX dell’Odissea, Ulisse giungendo nella spelonca di Polifemo trova graticci carichi di formaggi e stabbi stipati di agnelli e capretti. Al rientro del ciclope, lo vede mungere con ordine pecore e capre e cagliare la metà di quel bianco latte, ammassarlo, lavorarlo e deporlo in canestri di vimini.
L’origine del formaggio si perde nella notte dei tempi e del mito.
La tradizione narra di un pastore che mise del latte in uno stomaco di pecora in cui era rimasto del caglio e così ottenne il formaggio, gli antichi credevano invece che l’arte casearia fosse stata tramandata agli uomini da Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene.
Furono gli Etruschi a perfezionare l’uso di coagulanti di tipo vegetale, come il fiore di cardo e il latte di fico, e le loro tecniche di applicazione. I Romani proseguirono su questa strada diventando ottimi produttori e consumatori di formaggio, cominciarono ad utilizzare il latte bovino e appresero le tecniche di stagionatura.
Il consumo del formaggio ha fin dall’antichità una connotazione popolare che perdura nel Medioevo, momento in cui si gettano però le basi per una sua ‘nobilitazione’ che porterà a una valorizzazione del ruolo economico, alimentare e culturale del formaggio. Questo processo prende avvio dal modello alimentare monastico in cui è basilare la rinuncia parziale o totale al consumo di carne. Un modello che si estenderà all’intera società cristiana sulla scorta delle normative ecclesiastiche che impongono i giorni di astinenza dalle carni. Il formaggio entra così in maniera più decisa anche sulle tavole dei ricchi. Un percorso che prosegue in epoca rinascimentale in cui non mancano opere letterarie e poetiche in onore del formaggio.
In cucina lo troviamo nei ricettari fin dal XIII sec. Il formaggio fresco si trova mescolato alle uova, alla carne, alle verdure ed erbe aromatiche, in pasticci e torte tipici della gastronomia medievale. Stagionato e grattugiato è già diffuso nel Medioevo soprattutto in abbinamento alla pasta. Il Maestro Martino lo consiglia sui ravioli, sulle lasagne e sulle minestre liquide. Neanche il pomodoro riuscirà a offuscare il connubio con la pasta, negli anni Trenta del XIX secolo Ippolito Cavalcanti fornisce la prima ricetta di maccheroni al sugo di pomodoro a cui aggiungere dopo averli scolati “mescolavi formaggio invecchiato e provolone; e quant’altre sorti di formaggio vi aggiungi in più, più saporiti diventano”.

Pecorino Romano D.O.P.
Formaggio di latte intero di pecora, a pasta dura e cotta, con stagionatura da 5 a 8 mesi, a seconda che sia utilizzato da tavola o grattugiato. Il Pecorino romano si presenta di forma cilindrica con facce piane, una crosta sottile di colore avorio o paglierino naturale, talora cappata con appositi protettivi. La pasta, di colore bianco o paglierino tenue, si presenta compatta o con una leggerissima occhiatura. Le forme presentano diametro compreso tra 25 e 35 cm., altezza dello scalzo compresa tra i 25-40 cm. e peso variabile tra i 20 ed i 35 kg. Ha aroma fragrante e gusto lievemente piccante, per il formaggio da tavola; piccante, intenso o gradevole a stagionatura avanzata, nel formaggio da grattugia. Cenni storici Questo formaggio è il più antico e conosciuto fra i pecorini italiani, la cui produzione è strettamente connessa alla pastorizia La zona di origine del Pecorino è l’Agro Romano, da cui prende il nome e la fama; successivamente, la sua produzione si estende in Sardegna, nel 1800. Le caratteristiche ambientali del territorio laziale risultano molto favorevoli all’allevamento ovino: il pascolo, fonte tradizionale e principale di alimentazione per il gregge, grazie alla composizione floristica, alle condizioni climatiche ed ai fattori pedologici, trova qui le condizioni ottimali di sviluppo e qualità, andando così a caratterizzare il latte e, di conseguenza, il prodotto che ne deriva. Zona interessata alla produzione
La zona interessata alla produzione del Pecorino romano DOP comprende l’intera Regione Lazio, l’intera Regione Sardegna e, in Toscana, la Provincia di Grosseto.

Ricotta Romana D.O.P.
La Ricotta romana DOP è un prodotto caseario fresco, ottenuto esclusivamente dal siero di latte intero di pecora appartenente alle razze maggiormente diffuse nel territorio laziale: Sarda, Comisana, Sopravissana, Massese e relativi incroci. li siero, dal caratteristico colore giaIlo pallido, deve presentare dei parametri chimici ben definiti, al fine di garantire le specifiche qualità della Ricotta romana. In particolare i parametri presi in considerazione sono: residuo secco magro non inferiore a 5,37%; proteine non inferiori a 1,09%; grasso non inferiore a 0,35%; lattosio non inferiore a 3,55%; ceneri non inferiori a 0,4%. La Ricotta romana DOP che ne deriva presenta una pasta a struttura molto fine, un colore più marcato rispetto alla ricotta vaccina, un contenuto lipidico minimo del 40% sulla sostanza secca e soprattutto, un sapore delicato e dolciastro di latte fresco. Il peso è variabile fino a 2 kg. Cenni storici I primi cenni storici sulla Ricotta romana risalgono alla descrizione delle tecniche casearie fornita da Columella, agronomo romano del I° secolo a.C., nel “De Re Rustica”. La tradizione vuole che anche San Francesco d’Assisi abbia contribuito alla diffusione della Ricotta romana, insegnando ai pastori del luogo l’arte di produrla. Le peculiarità pedo-climatiche del Lazio, rappresentate da rilievi di varia natura (monti calcarei, vulcanici, colline, pianure alluvionali), da una temperatura media annuale variabile tra 13-16° favoriscono, infatti, lo sfruttamento delle migliori condizioni per l’allevamento degli ovini, considerato che il pascolo è la fonte tradizionale e principale di alimentazione del gregge e garantiscono, di conseguenza, la qualità del latte e della Ricotta prodotta. Zona interessata alla produzione
La zona di provenienza del siero (ottenuto da latte intero di pecora), di lavorazione e trasformazione della Ricotta romana DOP è rappresentata dall’intero territorio della Regione Lazio

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